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  • Immagine del redattoreJonathan Ghidotti

La colonna sonora di Gris



INTRO


C’è sempre una prima volta.

È inevitabilmente la bellezza del diventar grandi, del crescere… scoprire cose nuove e vivere nuove prime volte. E se in questo momento state pensando che la noia del diventare adulti sta proprio nel non trovare più possibilità di vivere delle prime volte beh vi sbagliate.

L’arte da sempre svolge questo compito nella mia vita, insegnandomi anche a non dare per scontato le piccole avventure quotidiane.

Ma cosa succede quando l’arte (e ci metto dentro la musica perché la musica è arte) incontra il videogioco?


Beh parte il brivido.


Succede che a un certo punto, in un luogo non preciso 2 ex dipendenti Ubisoft incontrano un’artista. Si incontrano ad una festa, un party di saluto per uno dei tre che sta per imbarcarsi verso una nuova avventura lavorativa.

I 3 chiacchierano ed emerge un desiderio in comune: creare un gioco che sia espressione artistica.

I 3 fondano quindi un team, Nomada Studio, ed iniziano a lavorare ad un gioco totalmente nuovo, dove i colori e la loro assenza è fondamentale, dove la stesura del colore ad acquerello diviene narrativa, dove la musica sembra constantemente in grado di avvolgere il cuore e la ricerca di una voce è parte della trama.

Un gioco che sembra un dipinto in movimento che non vuole solo manifestarsi come esercizio di stile ma che sfrutta l’arte per affrontare un tema tremendamente difficile e profondo: la depressione.

Nasce Gris.


Un gioco senza precedenti. Un perfetto connubio di arte e tecnica che sfocia in una esperienza ludica unica e inimitata.

Vincitore di 8 premi diversi tra cui Best Impact game ai the Game awards del 2019, vincitore del mio tempo e della mia passione e sopratutto un gioco con una colonna sonora senza precedenti.


Benvenuti o bentornati su mangianastri, io sono Jonathan e oggi parliamo della colonna sonora di Gris.


IL COMPOSITORE


Nel 2012 bussa alla porta della scena musicale un piccolo trio con sede in Spagna, Barcellona, con un nome che richiama una città tedesca: BERLINIST. Sembra l’inizio di una super cazzola ma per fortuna così non è.

Marco Albano, Luigi Gervasi e Gemma Gamarra sono i Berlinist e sono fortunatamente responsabili della colonna sonora di Gris.


Ci conosciamo da alcuni anni. Conrad Roset, il direttore artistico, ha realizzato un poster per uno dei nostri concerti nel 2013. Abbiamo ammirato il suo lavoro e siamo stati felici che abbia collaborato con noi. Alcuni anni dopo, quando ha ideato questo progetto, ha pensato che la nostra musica potesse adattarsi perfettamente all'esperienza di gioco. È così che è iniziato tutto!


Ed è l’inizio di un progetto nuovo per ciascun elemento del team. Il trio berlinst era alla sua prima volta per un videogioco ma anche i ragazzi di Nomada Studio erano alla loro prima volta in un gioco indipendente. Anche loro in 3, Adrian Cuevas, Roger Mendoza e Conrad Roset avevano già avuto esperienze nel mondo videoludico, in particolare i primi due che lavoravano in Ubisoft, ma passare dall’essere parte di un team all’essere il team è annoverabili tra le liste delle prime esperienze.


L’idea, come vi ho già detto, era quella di fare un gioco che fosse espressione artistica e mamma mia se ci sono riusciti. Gris è una magia, un sogno che si concretizza sotto forma di acquerello e di musiche color pastello e gente, proprio la colonna sonora è un capolavoro artistico senza grandi competitor all’interno del mondo videoludico se non per Journey di Austin Wintory e pochi altri.


27 tracce che raccontano e accompagnano la storia della protagonista.

27 tracce che definisco color pastello per la loro delicatezza, per il loro organico e per la loro struttura. La colonna sonora di gris è un viaggio tratteggiato da una continua scoperta di nuovi suoni e nuovi colori in grado di portarci poco a poco alla scoperta del vero potenziale musicale di Gris.


3 Strumenti principali:

  • Pianoforte

  • Violoncello

  • Voce femminile


Il primo, il pianoforte, diviene espressione della delicatezza della ragazza e del suo desiderio di sentirsi leggera. Al pianoforte, quasi sempre riverberato e con eco, non viene mai affidato il compito di raccontare la storia, non gli viene mai affidata la melodia ma l’armonia. Il pianoforte è la colonna armonica della colonna sonora, è la struttura solida, le fondamenta su cui costruire i brani, fondamenta che però traballano e riverberano in un continuo movimento instabile sottolineato e acuito dalla struttura ad arpeggio usata per la maggiore nel corso dell’intera colonna sonora.

La ragazza, la protagonista è la colonna portante del gioco ma sta andando in pezzi, si sta frantumando, si sta sgretolando.


Il secondo strumento, il violoncello è invece il dolore. La ragazza, è sola, persa in un mondo grigio senza voce e senza amore ed il violoncello è proprio l’espressione di questo dolore. Ma siccome il videogioco parla proprio di un viaggio dal buio alla luce, dalla sofferenza al sollievo, dal dolore all’amore il violoncello a un certo punto lascerà il posto proprio allo strumento principale di Gris: la voce.


E allora amici di mangianastri preparate il vostro astuccio della scuola, dell’asilo, dell’infanzia e seguitemi in questo triste viaggio dove il dolore e il lutto diventano colori, la musica i pastelli e Gris una vera e propria opera d’arte interattiva.


GRIGIO RIFIUTO


Gris non ha una vera e propria storia. Ha un filo conduttore, un percorso che però non necessita di narrazione verbale. Non ci sono nomi, luoghi, ambienti, un passato, un contesto, un dove e un quando.

Siamo in un luogo sconosciuto, apparentemente senza tempo e con logiche spaziali che non sono quelle consuete.

Siamo nella mente o nel cuore di Gris (o Mae, non conosciamo il nome, sappiamo solo che la prima traccia dell’album si chiama Mae ma che Nomada studio non ha escluso l’ipotesi che Gris sia il vero nome) una ragazza dai capelli verdi lunghi fino alle spalle e un lungo abito nero.

Si trova in piedi sopra alla mano aperta di un’enorme statua e sta cantando la linea melodica che avete appena sentito quando all’improvviso la voce si blocca, non esce più. La ragazza si porta le mani alla gola, sembra soffocare… cerca disperatamente di non perdere la voce, di continuare a cantare e poi una crepa, un’altra e un’altra ancora. La ragazza è spaventata, si agita, cerca un riparo e poi la mano si spacca.

E lei precipita.

E precipita.

E mentre precipita passa attraverso i colori, il rosa, l’azzurro, il rosso l’arancione il giallo… finche rimane solo grigio.


Si rialza, il volto scuro, le braccia come morte lungo i fianchi.

Silenzio.


Lentamente si gira verso sinistra.


Poi verso destra.


Inizia a camminare… il passo è lento, strisciato.

Cade.


Tutto è grigio intorno a lei o dentro di lei. Gris inizia così, con le note potenti di Gris pt. 1 (che abbiamo sentito pochi minuti fa) e poche immagini che ci raccontano l’inizio di un trauma.

La ragazza si trovava in una situazione di tranquillità e sicurezza tra le mani di qualcuno tanto forte e importante da essere rappresentato come un’enorme statua solida e incrollabile. Tra quelle mani si sentiva libera, libera di cantare e di esprimersi e questo la faceva sentire leggera, così leggera da sollevarsi da terra quanto cantava.

E poi tutto si rompe.

Tutto si fa grigio.


Amici Gris parla del lutto e del percorso interno di ognuno per accettare questo lutto.

La nostra Protagonista ha perso la persona più importante della sua vita e perdendola si è spenta.

Non canta più.

Tutto è grigio.

Il passo è lento, strisciato.

Cade.

Silenzio.

Poi si rialza… e lentamente volge lo sguardo verso l’alto.


Debris è il titolo di questo primo brano, il brano del grigio, il brano dei detriti, il brano del rifiuto.

E come vi dicevo prima il pianoforte è lo scheletro di questo pezzo, è la colonna armonica.

Ma è una colonna un po’ traballante, anche lei incrinata, spezzata.

Quello che sentiamo è un brano composto da frammenti che pretendono di essere un brano, di creare un arco melodico, un discorso ma che risuonano come detriti al vento.

E poi c’è la tonalità.

Re minore.

La tonalità del Requiem di Mozart, della sinfonia numero 9 d Beethoven e del concerto per pianoforte e orchestra numero 3 di Rachmaninoff. Una tonalità cupa, desolata che però qui si propone in una sequenza di 8 accordi di una dolcezza rara.


RE DO RE LA SIb LA SIb risuonano all’interno del brano come un inno alla rinascita e davvero a stenti riesco a trattenere un sorriso quando li sento. Questo sorriso penso sia dovuto all’effetto sorpresa con cui si presentano. Fino a questo momento abbiamo sentito dei frammenti di suono, echi che si perdono nello spazio e nel tempo. Siamo persi in una situazione dove frammenti di ricordi, di energie, di emozioni vagano nell’aria senza meta e senza scopo.

E poi sbam.

Re minore, riverberato ma tenuto, presente, solido, irremovibile, stoico. E con ancora più storicità non si ripiega ma punta verso l’alto, sale a MI (accordo di DO con il mi al basso) e non contento ancora torna a RE ma con il FA al basso.

Va verso l’alto, verso la luce, c’è speranza, rinasce un desiderio, un motivo per continuare a camminare. Speranza sottolineata dagli accordi successivi che non tornano a RE minore ma vanno verso l’accordo di SIb maggiore.


Speranza che porta la ragazza a riscoprire il primo colore del suo animo, del suo percorso di accettazione.

Il colore della rabbia: il rosso.



ROSSO RABBIA


Abbiamo deciso di dare ad ogni area un suono specifico. Lo abbiamo provato assegnando ad ogni colore una tonalità specifica.


Il rosso è Re minore… ok si so cosa stai pensando: ancora RE minore? E in effetti sembra un errore, una svista, in fin dei conti già il grigio, il rifiuto, era collegato a questa tonalità ma, nel cercare di trovare una possibile spiegazione a questa apparente svista, mi viene da pensare che il rifiuto è parte del processo di rabbia e il grigio altro non è se non il voler manifestare una condizione di assenza di colori.


Siamo quindi ancora nella tonalità del Requiem di Mozart, del dolore pieno che però qui si tinge del suo aspetto più pericoloso: la rabbia.

É colpa mia.

Perché a me?

Cosa ho fatto?

Nessuno mi capisce.

Nessuno può capire.

Cosa ne sai tu?

Perché?

Lasciami sola.

Perché?!


Tutto è arido. Senza vita. Tutto sembra perso e la ragazza si trova persa in un deserto dove violente raffiche di vento la respingono e le impediscono di proseguire.


Perseverance è il nome del brano che state ascoltando e che accompagna questa fase di gioco ed p un brano che vive di una forte bipolarità: frammenti sonori del tutto analoghi a quelli sentiti prima si alternano a violenti arpeggi affidati allo strumento a vento per eccellenza: l’organo. Enorme mole di canne e tubi che per emettere suoni vengono attraversati da colonne d’aria.

Organo che non solo è composto di vento ma che grazie ad alcune regolazioni dei suoi registri può raggiungere una potenza sonora senza pari.

Può divenire un vero e proprio muro sonoro.

Un onda dirompente in questo caso rafforzata da un potente accordo di RE minore affidato al coro.


E sapete cosa è ancora più bello di questa scelta musicale azzeccatissima? Che il rumore del vento all’interno del videogioco è proprio questo. Questo è il rumore del vento, questo è quello che sentiamo nelle cuffie quando giochiamo questa sezione. Non ci sono effetti sonori generici di bufera e vento, c’è questo colonna d’aria immensa prodotta dall’organo e dal coro.


E poi però c’è il titolo, Perseverance, e la struttura del brano.

Perseveranza: Costanza di atteggiamento o di comportamento, spec. in quanto accompagnata o motivata da propositi virtuosi o sostenuta da una convinzione personale, oggettivamente più o meno valida o addirittura inaccettabile.


Perseveranza nell’andare avanti. Nel non mollare.


Nel corso della nostra avventura all’interno i Gris vivremo specifici momenti nei quali vedremo la protagonista compiere dei passi di consapevolezza, passi espressi lucidamente dalla conquista di Power Up, di nuove abilità.


La prima abilità la conquisteremo proprio qui, nel rosso deserto e consiste nel poter trasformare il proprio vestito in un pesante blocco cubico capace di resistere alla violenza del vento.

Ma non solo.

Questo pesante blocco permettere di camminare contro vento, di ribellarsi al giogo del destino, alle avversità e di andare avanti a suon di colpi, rabbia, nervi, tensione. E a questa perseveranza sottostà anche la struttura del brano. I frammenti sonori vengono continuamente spazzati via dalla violenza dell’organo ma continuano a tornare, a risuonare nell’aria costringendo il vento a divenire sempre più violento, più massiccio con l’organo e il coro che ad ogni loro nuova entrata guadagnano nuovo spessore melodico trasformando l’accordo di RE minore in un vero e proprio cluster di note, grumi sonori.


E poi questo potere permette di spaccare.

Di rompere, di sfogarsi, di frantumare, di frantumarsi e di liberare le paura, la rabbia e la frustrazione del suo cuore.



VERDE NEGOZIAZIONE


Ma per poter osservare il nostro dolore, poterlo affrontare bisogna aspettare ancora un attimo e soprattutto bisogna continuare il nostro percorso di accettazione del lutto.

Dopo aver frantumato, lottato e spaccato si arriva sempre ad un momento di calma.

Di vuoto.

Di stanchezza.

E la rabbia cede il passo all’accettazione e alla negoziazione con sé stessi.

Il rosso si tinge di Verde.

“È la negazione della morte che è parzialmente responsabile delle vite vuote e senza significato che la gente conduce; perché quando vivi come se dovessi vivere per sempre, diventa troppo facile posporre le cose che sai di dover fare.”


Questa frase è di Elizabeth Kubler-Ross e ti starai chiedendo: si ma cosa centra adesso? Beh, innanzitutto la dottoressa Kubler-Ross è stata la psichiatra che ha elaborato il modello a cinque fasi dell’elaborazione del lutto, ovvero il modello sul quale si costruisce Gris. In secondo luogo questa frase, questa sua citazione, sicuramente di respiro molto più ampio rispetto al discorso che stiamo affrontando, può però essere paragonata all situazione, allo stadio nel quale ci troviamo ora.

Il colore Verde, la Negoziazione.


Succede che superata la rabbia si inizia a prendere consapevolezza del dolore, della perdita e si affronta per la prima volta dall’evento traumatico la morte. E questa è proprio la fase del: «Se faccio questo forse soffrirò meno» o nei casi di malattie «Forse se prendo tutte le medicine con regolarità posso guarire».

È la fase in cui non si pospone più nulla e si cerca un equilibrio per non crollare.

E un tentativo di rinascita e qui ciccia fuori il colore Verde, il colore della rinascita e dell’equilibrio.

Il paesaggio si riempie di arbusti ed alberi, facciamo per la prima volta conoscenza con un essere diverso ed esterno da noi, un piccolo cubetto con un germoglio in testa, e ascoltiamo il brano Komorebi che in giapponese significa Raggi di sole.


E siamo in RE maggiore. Tonalità regale, dotata di una sua autorevolezza e di una gioia controllata ed elegante ed in questo caso ci troviamo di fronte ad un brano che rispecchia perfettamente il titolo che le è stato affidato. Komorebi, raggi di sole che filtrano delicatamente tra un riverbero e un altro, tra un colpo di violoncello e un altro.

Komorebi è un brano delicatissimo, forse il più delicato dell’intera colonna sonora. Un brano che profuma di legna, di terra e che rimane in perfetto equilibrio tra la serenità e la disperazione.

2 intervalli aprono il brano, due intervalli di una instabilità totale: la 7 maggiore (esempio) e la 9 maggiore (esempio). Due intervalli che presentano due note, il Do# e il Mi che con il RE ci stanno come la peperonata a colazione: buona ma forse un po’ audace.

Due intervalli sospesi, in bilico, pronti a crollare da un momento all’altro.

Pronti a cadere difronte alla manifestazione del dolore.

Dinnanzi al Corvo, al Karasu.


Ecco il dolore della ragazza.

Simanifesta dinnanzi a lei come un enorme pennuto nero e fluido, ricolmo di rabbia e pronto a inghiottirla. E il brano, la musica, passa da RE maggiore a MI minore, tonalità instabile (come SI minore) perchè sempre pronta a cadere sul semitono di Fa. Una tonalità dura, cattiva che spazza via i raggi di sole di RE maggiore e adombra tutto quanto. E lo fa picchiando, anzi beccando con il suo becco nel tentativo di inghiottire la ragazza.

I colpi che sentiamo in apertura del brano e che ne delineano il tema (o meglio il motivo) principale sono dei colpi secchi, degli strappi di MI minore da parte del violoncello.

Il violoncello, lo strumento affidato al dolore, alla sofferenza che qui torna come strumento principale e che si scontra con il pianoforte che leggero, rapido e veloce esegue note in successioni come a voler fuggire dal violoncello.

Il violoncello, il Karasu, e il pianoforte, la ragazza.

Il primo violento, strappato, incisivo, minaccioso, marziale, incessante, inarrestabile.

Il secondo delicato, fragile, rapido, spaventato… ma comunque in grado di correre e scappare.


E non sorprende allora che nel gioco questa fuga e questo stage corrispondano all’acquisizione del secondo power up: il doppio salto.

La possibilità di tornare a sentirsi leggeri.


Ma una volta scacciato il Karasu rimane il silenzio.


E il mondo si tinge di blu.


BLU DEPRESSIONE


Depressione: in psichiatria, deviazione del tono dell'umore in senso malinconico per cui si ha avvilimento, difficoltà di pensiero e di concentrazione, rallentamento psicomotorio oppure agitazione, senza però che si giunga a una vera e propria forma patologica.


Avete mai sentito parlare di Fase Blu? In quel momento della sua vita quell’artista era nella sua fase blu?

Ecco, se vi è capitato di sentirlo, e se avete visto Lilo e Stitch avete sicuramente sentito Lilo dire «oh quelle sono di quando ero nella mia fase blu» sappiate che il blu è da sempre sinonimo di depressione.

E se depressione significa anche andare sempre più in basso mi sembra totalmente logico pensare che Nomada studio si sia detta: «Dobbiamo rappresentare la fase di depressione… la fase blu… beh, la fase subacquea.»


Si signori, questo è lo stage acquatico ed è forse il miglior stage acquatico che abbia mai giocato fino ad ora.

La ragazza nuota, nuota e nuota e fa sempre più giù e mano a mano che scende la luce si fa sempre meno ed il blu si fa sempre più scuro. Ed è una discesa tanto consapevole quanto inconsapevole fino ad arrivare punto che il power up di questo stage è proprio il dash, uno scatto, un colpo di reni che le permette di accelerare il suo percorso di discesa.


E il brano descent non fa che sottolineare e raccontare magnificamente questa progressiva discesa nello sconforto.

Torna la tonalità di MI minore che però qui rivela l’altro volto della medaglia, il volto malinconico e triste ma ciò che davvero caratterizza questo brano sono la struttura e il cambiamento progressivo dell’organico strumentale.


Il brano si apre con il pianoforte drasticamente riverberato e con un sacco di eco. L’immagine che comunica è di gocce d’acqua, di calma e di malinconia. La melodia torna ad essere un ricordo, è spezzata, è un eco di qualcosa che sta tornando a sbiadirsi. C’è profonda malinconia in queste note e sopratutto non c’è nessuna risoluzione, sono piccoli archi melodici sospesi, eterei e costantemente in bilico tra due accordi: MI minore e… si, proprio lei, RE maggiore, l’accordo della negoziazione e della speranza di una possibile rinascita.

Peccato che mano a mano che la ragazza scende nelle profondità marine RE maggiore si perde sempre di più, rimane MI minore ed il pianoforte cede il passo al violoncello.

Ed il violoncello segna l’inesorabile discesa della ragazza verso il blu profondo. Se non fosse che il pianoforte continua a resistere. È nascosto, sommesso, quasi impercettibile ma c’è, e c’è perchè vi ricordo come questo rappresenti il desiderio di rinascita da parte della ragazza.

Rinascita sottolineata esteticamente dalla presenza costante di piccole luci da ritrovare e collezionare, luci che emettono suoni di pianoforte e che però qui, nel profondo blu sono sempre meno e fanno sempre meno luce.

Fino a quando in fondo al baratro non rimane che il silenzio e il blu più nero che ci sia.


Unagi, in giapponese anguilla. Viscida e rapida ci insegue scivolando nel blu profondo come se non sentisse la resistenza dell’acqua.

E noi scappiamo perchè l’ombra, la nostra ombra, ci spaventa.

Siamo stanchi, non ne possiamo più, vogliamo solo tornare a stare bene.

E quindi scappiamo… ma scappiamo verso l’alto.

Verso la luce.

E lo facciamo acquistando sempre più velocità grazie allo scatto che abbiamo acquisito, grazie al power up maturato dentro di noi durante tutto il viaggio vissuto fino a qui.


La ragazza nuota, scappa.

L’anguilla la insegue, allarga le fauci, fa per inghiottirla ma lei con un piccolo colpo di reni le sfugge di pochi millimetri.

E allora l’anguilla accelera, allarga le fauci… ma ancora nulla.

Ci riprova… e ancora… e ancora…


E poi la musica si calma.

Il violento coro femminile, indizio di cosa sia in realtà l’ombra cattiva, si placano.

Rimangono pochi rulli di tamburo, qualche eco sintetizzato e torna il pianoforte con brevi note riverberate che accompagnano momenti sporadici di luce.

La ragazza nuota nell’oscurità quasi totale.

Poche luci si accendono al suo passaggio.

Capire dove andare è quasi impossibile.


E poi Unagi ritorna ma questa volta ci insegue dal basso e ci spinge ad andare verso l’alto verso la luce e la musica cresce di intensità e da MI minore sentiamo il basso salire a SOL e poi a LA a SI e a DO portando una ventata di maggiore che, unita all’aumento di intensità sonora e all’ispessimento strumentale ci trascina in un vortice di epicità finora mai esplorato all’interno di Gris.

È l’inizio della rinascita, del ritorno alla luce, della comprensione del proprio dolore tramite tutte quelle luci che sono esterne alla ragazza e che rappresentano gli amici, i cari e tutte quelle persone che le stanno vicine.

La ragazza sta ritornando alla luce.

Si sta avviando verso l’ultimo stadio: l’accettazione.



GIALLO RINASCITA


E tutto si fa calmo all’improvviso. Ma non è più un calmo vuoto, teso ma un calmo di attesa. C’è la stessa calma che precede il sorgere del sole.

La ragazza riprende a camminare e poco a poco si arrampica cercando di raggiungere la superficie.


Ad accompagnarla c’è il brano che state ascoltando: Ascension che come potete immaginare significa ascensione.

Ascensione: Innalzamento a una quota notevole; salita, scalata, spesso a proposito di imprese alpinistiche di notevole livello. Elevazione spirituale.


Siamo in Sol minore, siamo ancora in una situazione di dolore ma è una sofferenza ormai sotto controllo, è sedimentata e tranquilla.

E poi c’è il richiamo… si quella specie di balena che sentite e che rileggo proprio come richiamo. In effetti ci troviamo in un luogo estremamente buio dove ci sono pochissime fonti luci e dove perdersi è un attimo. E allora la ragazza segue questo richiamo e nel seguirlo accende delle luci dentro di sé fino a che non giunge in superficie.


E ci spostiamo finalmente a REb maggiore.

Una tonalità di una bellezza stravolgente.

Ora lo so, lo so, per qualcuno questo discorso potrà non avere significato. Questa differenza di percezioni delle tonalità potrà anche sembrare sciocca ma la musica è anche questa e l’incredibile equilibrio tra malinconia e pace che si viene a creare con la tonalità di REb maggiore è meravigliosa.

È letteralmente la tonalità del sogno, tanto amata da Chopin e utilizzata in uno dei suoi più bei notturni. E proprio qui di notturno possiamo parlare.

La ragazza è giunta in superficie dove sembra esserci un clima notturno, dove dei graziosi fenicotteri rosa dormono e anche i fiori sono chiusi.

Nelle orecchie sentiamo Firmament: firmamento.


Parliamo di cielo, di stelle, di infinito, di infinite luci.

E poco a poco queste luci si accendono e possiamo sentirle accendersi proprio nel brano con queste note suonate da una tastiera elettrica che sembra uscire direttamente da uno di quei brani usati per far addormentare i bambini.

Ma è comunque ancora tutto addormentato e sottosopra.


Il mondo della ragazza è sottosopra e questo ci viene comunicato sia visivamente con la presenza di due realtà contrapposte che eliminano la distinzione tra sopra e sotto, e tramite la musica che presenta una notevole quantità di suoni riprodotti al contrario.

Tutto il percorso fatto fino a qui ha confuso la ragazza, ha trasformato la realtà facendole perdere l’orientamento, trasformando il sopra in sotto e il sotto in sopra… ma le luci si stanno accendendo e l’ultimo power up si sta per sbloccare.

Finalmente la ragazza torna a cantare.

E il suo canto è vita. I fiori tornano a sbocciare, i fenicotteri si svegliano, il mondo si tinge di rosa e di giallo e tutto torna poco a poco alla vita. La voce che avevamo perso, la nostra voce, il canto, quello strano potere che ci permetteva addirittura di sollevarci da terra è tornato.

Siamo di nuovo liberi.



IN CONCLUSIONE


In conclusione, Gris è un’opera d’arte.

Punto.

Un gioco che prende i limiti comunicativi ed espressivi dei videogiochi e li distrugge, li spappola, li mastica e se li mangia a colazione. Un quadro in movimento che trova nella colonna sonora dei Berlinist il miglior alleato possibile in quanto espressione massima di quello che può essere la musica per un videogioco. Una colonna sonora non solo capace di emozionare e di raccontare ma anche espressione tecnica di altissimo livello. Mai banale, mai estranea all’immagine, mai invasiva e soprattutto mai e poi mai incline al facile sentimentalismo zuccheroso.


E si, lo so. Manca un pezzo in questo finale.

Chi ha giocato il gioco lo sa, c’è ancora una piccola parte, una scena anzi la scena che chiude il cerchio e che si collega a questo brano che ho appena stoppato. Gris pt.2, il seguito del brano che sentiamo all’inizio… ma questa la lascio scoprire a voi.

Giocate Gris, vivetelo, accompagnate la ragazza in tutto il suo viaggio fino alla fine e poi rimanete a guardare quel ultimi due minuti di poesia. E magari unitevi al loro canto anche voi.



E prima di chiudere vi ricordo alcune cose belle. La prima è che Mangianastri è disponibile su qualsiasi piattaforma di ascolto e se lo ritieni utile puoi lasciare una recensione su apple podcast o seguirmi su Spotify in modo da non perderti i prossimi episodi, sarebbe davvero di aiuto.

Ti ricordo che puoi anche ascoltarmi su mangianastripodcast.com e non solo perchè il sito si è aggiornato con nuovi contenuti, con l’elenco delle mie composizioni originali e sopratutto con lo script di ogni episodio di Lato A così, se ti sei persa qualcosa o semplicemente non ti va di ascoltare la mia voce puoi leggere tutto quanto e commentare. Commenti che adesso puoi anche lasciare su Spotify, qui sotto basta che con il pollice fai un leggero stipe up e troverà la sezione dei commenti.

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E tra questi amici a volte ci sono anche gli amici di Consigliami un Film e BlogFullybooked, amici con i quali chiacchiero nel secondo format di mangianastri, LATO B, che torna tra 15 giorni sempre qui.

E infine ti ricordo che da quest’anno puoi partecipare al podcast anche tu lasciando un messaggio vocale al link che trovi in fondo alla descrizione.


E quindi grazie per avermi ascoltato fino a qui, spero di essere riuscito a raccontarti tutta la bellezza di questo gioco e della sua colonna sonora e noi ci risentiamo ogni lunedì o quasi dalle 21.15 alle 21.45 su Instagram o tra 15 giorni qui su mangianastri.

Ciao Ciao.



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